Il rapporto di lavoro domestico, pur essendo un rapporto di tipo subordinato, presenta delle peculiarità rispetto al modello presentato nell’Art. 2094 del codice civile – Prestatore di lavoro subordinato.
In particolare, al lavoro domestico è dedicato l’art.62 della Legge 151 del 26 marzo 2001, in cui viene specificato che a questa tipologia di lavoro sono applicati soltanto alcuni degli articoli dedicati alla tutela della maternità.
Alle lavoratrici domestiche, infatti, si riconosce il divieto di licenziamento, che inizia con il concepimento – solo se avvenuto durante il rapporto di lavoro – per estendersi fino al termine del congedo obbligatorio (tre mesi dopo il parto) e non fino al compimento dell’anno di età del bambino, come invece previsto dall’art. 55 riguardante le altre lavoratrici.
Alla lavoratrice domestica madre è pienamente riconosciuto soltanto il periodo di astensione obbligatoria durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, eccezion fatta per eventuali anticipi o posticipi previsti dalla normativa di legge. Durante i tre mesi successivi al parto, la lavoratrice, facendo domanda all’INPS, potrà ottenere l’indennità di maternità, che coprirà l’80% dell’indennità globale di fatto, ed è accompagnata dalla contribuzione figurativa. Pertanto, in questo lasso di tempo, il datore di lavoro sospenderà sia la contribuzione sia la retribuzione, ad esclusione di ferie e TFR, che saranno a carico dell’INPS.
Alle stesse non sono riconosciuti l’astensione facoltativa, i permessi di allattamento e le assenze giustificate per malattia del bambino, valide per tutte le altre lavoratrici.
Il nuovo Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL), entrato in vigore nel luglio 2013 e valido fino al 31 dicembre 2016, ha aumentato la tutela contro i licenziamenti delle lavoratrici domestiche attraverso l’introduzione dell’art.39, secondo il quale, nel caso in cui, al termine del congedo obbligatorio, il datore di lavoro intimi il licenziamento entro i successivi 30 giorni, dovrà osservare un preavviso doppio rispetto a quello ordinario.