ACLI. La Shoah: ricordare il passato per costruire il futuro

1750

giorno_della_memoriaOggi siamo a conoscenza di quanto avvenne nei campi di concentramento nazisti, dalla fine degli anni ’30 fino al 1945, cioè ciò che era stato scientificamente programmato: lo sterminio del popolo ebraico. Una ferita in parte ancora aperta, poiché da quell’esperienza non è facile prendere le distanze. Già in quegli anni la popolazione civile di Auschwitz o di Dachau sapevano benissimo cosa accadesse in quegli edifici incorniciati dal filo spinato.
« Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario », ha scritto Primo Levi prima della sua morte nell’aprile 1987. La domanda che poniamo oggi è: conoscere è sufficiente a non ricadere negli stessi errori? La denuncia pubblica dell’Olocausto ha provocato negli anni le più disparate reazioni, talvolta anche contraddittorie: orrore, rabbia, incredulità, sdegno, demoralizzazione, sfiducia nell’umanità. Tutti questi sentimenti non hanno comunque creato un valido antidoto al genocidio e non hanno impedito che si verificassero altri simili eventi, quali quelli del luglio 1995 a Srebrenica o quanto è avvenuto in Bosnia-Erzegovina nel luglio 1995 ad opera delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladić, o in Ruanda durante lo sterminio incrociato fra hutu e tutsi nell’aprile 1994. In altre parole, sapere ciò che è successo non rappresenta la garanzia automatica che non succeda ancora; si rischia insomma la trasformazione dell’evento storico in macchina mitologica, la sua banalizzazione, la sua sacralizzazione rischiano di diventare uno strumento retorico nelle mani di chi manifesta apertamente un certo fastidio a confrontarsi con un evento così traumatico, di chi non esita a manipolare in parte o del tutto la narrazione dello sterminio o a negarne addirittura la sua stessa esistenza.
Di fronte a questa vera e propria strategia dell’oblio è quindi indispensabile districare l’intreccio degli usi e delle distorsioni a cui la memoria è sottoposta; ma la memoria, in particolar modo la memoria della sofferenza, è il prodotto di una scelta molto coraggiosa da intraprendere. Solo così, in una prospettiva non banale né sacrale, le celebrazioni del 27 gennaio possono costituire un’occasione di riflessione sul senso e sulla funzione di quello che potrebbe essere definito il rischio di trasformarsi in persone vuote.
Su questi presupposti , con la legge del 20 luglio 2000, la Repubblica italiana ha istituito il “Giorno della Memoria” e nel primo articolo riconosce il 27 gennaio come data simbolica per “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.