CAF ACLI – Spese mediche: la prescrizione serve o non serve?

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Se c’è un dubbio sul quale l’esperto fiscale si sentirà porre decine di domande al giorno è la detrazione delle spese sanitarie con o senza prescrizione medica. Servirà? Non servirà? E qualora servisse, cosa deve esserci scritto? La domanda, come abbiamo detto, è all’ordine del giorno per chi fa consulenza fiscale, e la risposta, d’altro canto, non sempre permette di fare delle generalizzazioni. Se poi consideriamo che certe spese mediche, pur in presenza di una prescrizione, restano comunque indetraibili, la cosa un po’ si complica.

Cerchiamo dunque di dare poche – ma chiare – indicazioni che servano a farci orientare. Se dovessimo individuare una sorta di regola “aurea” in grado di semplificarci la vita, potremmo anzitutto cominciare col dire che le prestazioni effettuate da medici specialisti sono detraibili anche senza prescrizione, ossia non serve che ce le prescriva alla base il medico generico. Lo stesso principio vale per l’acquisto dei farmaci o dei dispositivi medici (su questi ultimi pubblicheremo un articolo a parte nei prossimi giorni). Scopo della prescrizione è quello di dimostrare la correlazione, quindi la necessità, fra una certa spesa medica e la patologia esistente. In parole povere si deve dimostrare al Fisco che quella prestazione medica era necessaria, indispensabile.

Seguendo questo principio, potremmo allora dedurne che l’aver acquistato un farmaco o l’essersi sottoposti a una prestazione specialistica contengono già in sé, implicitamente, la dimostrazione della necessità di quelle spese. Di qui, allora, l’esonero dall’obbligo di esibire la prescrizione per i servizi resi da:

  • psicologi e psicoterapeuti per finalità terapeutiche;
  • biologi nutrizionisti la cui professione, pur non essendo sanitaria, è inserita nel ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale;
  • ambulatori specialistici per la disassuefazione dal fumo di tabacco (parere Ministero della Salute del 20 ottobre 2016).

Idem per le seguenti prestazioni, a patto che siano eseguite in centri autorizzati e sotto la responsabilità tecnica di uno specialista:

  • elettrocardiogrammi, ecocardiografia, elettroencefalogrammi;
  • esami di laboratorio e controlli ordinari sulla salute della persona, ricerche e applicazioni;
  • T.A.C. (tomografia assiale computerizzata);
  • risonanza magnetica nucleare;
  • ecografie;
  • indagini laser;
  • ginnastica correttiva e di riabilitazione degli arti e del corpo;
  • sedute di neuropsichiatria;
  • dialisi;
  • cobaltoterapia;
  • iodio-terapia;
  • analisi di diagnosi prenatale;
  • perizie medico-legali.

Per quanto riguarda invece i medicinali (da non confondere coi “parafarmaci” come gli integratori alimentari, i prodotti fitoterapici, colliri o pomate, anche se acquistati in farmacia o assunti a scopo terapeutico su prescrizione medica), la documentazione richiesta dal Fisco si limita alla cara vecchia fattura o al cosiddetto “scontrino parlante”, in cui risultino specificati la natura, la qualità e quantità del prodotto, più il codice fiscale dell’acquirente.

“Riguardo alla natura del prodotto – spiega l’Agenzia delle Entrate nella guida pratica alle spese sanitarie – è sufficiente l’indicazione generica nello scontrino fiscale della parola ‘farmaco’ o ‘medicinale’. Queste diciture possono essere indicate anche attraverso sigle e terminologie chiaramente riferibili ai farmaci (per esempio, ‘OTC’, ‘SOP’, ‘Omeopatico’) e abbreviazioni come ‘med’ e ‘f.co’. Anche la parola ‘Ticket’ è idonea a indicare sia la natura sia la qualità del farmaco. Per i ticket, inoltre, non si è più tenuti a conservare la fotocopia della ricetta medica. Per quanto riguarda la qualità del prodotto, tenuto conto delle indicazioni del Garante della privacy, nello scontrino non va più riportata in maniera specifica la denominazione commerciale dei medicinali acquistati, ma deve essere indicato il numero di autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco (AIC). Per i medicinali omeopatici che non hanno il codice AIC, la qualità è indicata da un codice identificativo attribuito da organismi privati e valido sull’intero territorio nazionale”.

Spostandoci ora sul lato opposto, dove invece la prescrizione medica è indispensabile per poter beneficiare della detrazione, troviamo un elenco di spese la cui necessità a scopo terapeutico (cioè di cura effettiva su una certa patologia esistente) non sempre è scontata; quindi, per dimostrarla, servirà esibire la prescrizione del medico di famiglia. L’Agenzia indica le spese per:

  • trattamenti di mesoterapia e ozonoterapia effettuati da personale medico o da personale abilitato dalle autorità competenti in materia sanitaria;
  • l’acquisto o l’affitto di protesi sanitarie che non rientrano tra i dispositivi medici, salvo che si tratti di attività svolte in base alla specifica disciplina da esercenti arti ausiliare della professione sanitaria (ad esempio optometristi per gli occhiali da vista);
  • prestazioni chiropratiche (oltre alla prescrizione medica, è richiesto che siano eseguite in centri autorizzati e sotto la responsabilità tecnica di uno specialista);
  • cure termali (sono escluse le spese di viaggio e di soggiorno);
  • prestazioni rese dal massaggiatore capo bagnino degli stabilimenti idroterapici (parere del Ministero della Salute del 6 marzo 2018);
  • le prestazioni di ippoterapia e musicoterapia, sostenute a favore di persone con disabilità, a condizione che siano eseguite in centri specializzati direttamente dal personale medico o sanitario specializzato o sotto la loro direzione e responsabilità tecnica (è necessario possedere anche la certificazione relativa al riconoscimento dell’handicap).

In ultimo, come accennavamo, vi è il caso delle spese che pur in presenza di prescrizione restano indetraibili, proprio perché, sebbene prescritte, sono prive di uno specifico inquadramento medico-terapeutico, vale a dire le spese per:

  • parafarmaci;
  • prestazioni rese da massofisioterapisti con titoli conseguiti dopo il 17 marzo 1999, oppure con formazione biennale conseguita prima di tale data con titolo non equivalente alla laurea di fisioterapista;
  • corsi in palestra, in quanto, anche se svolti a scopo di prevenzione o terapeutico, vanno inquadrati in un generico ambito salutistico di cura del corpo, quindi non riconducibili a un trattamento sanitario qualificato;
  • prestazioni rese da soggetti non iscritti alle professioni sanitarie riconosciute e non operanti in centri autorizzati.

Luca Napolitano

Fonte: https://www.cafacli.it/it/