Le colf e le badanti, in quanto lavoratrici dipendenti, rientrano nella disciplina generale a tutela della maternità.
La norma dispone il divieto per il datore di lavoro di impiegare la gestante in qualsiasi attività lavorativa nei 2 mesi precedenti la data presunta del parto, e nei 3 successivi.
Durante tale periodo si realizza, dunque, una sospensione del rapporto di lavoro che esonera la famiglia dal pagamento della retribuzione e della contribuzione, sostituite dalla indennità di maternità a carico dell’INPS.
Per queste lavoratrici è possibile applicare la flessibilità del congedo, che prevede la prosecuzione dell’attività di lavoro durante l’ottavo mese di gravidanza, purché un medico specialista del SSN attesti che tale opzione non possa arrecare danno alla salute della gestante e del nascituro.
Il pagamento dell’indennità di maternità viene corrisposto dall’INPS direttamente alla donna incinta che, per ottenerla, deve inviare la domanda all’Istituto di previdenza esclusivamente per via telematica.
L’importo dell’indennità percepito dalla gestante corrisponde all’80%, ma non della retribuzione effettivamente percepita dalla lavoratrice bensì di una retribuzione convenzionale, di importo minore, che l’Inps associa alle fasce di retribuzione effettiva previste per il calcolo dei contributi.
A differenza della maggior parte delle lavoratrici dipendenti, per cui l’indennità di maternità è corrisposta senza necessità di particolari requisiti contributivi, le lavoratrici domestiche vedono riconosciuto questo diritto solo in presenza di due condizioni contributive alternative tra loro:
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52 contributi settimanali nei 24 mesi precedenti la data di inizio del congedo di maternità,
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in alternativa, 26 contributi settimanali nei 12 mesi precedenti l’inizio del congedo di maternità.
In mancanza di tali requisiti, la lavoratrice domestica e la famiglia si trovano nella necessità di sospendere l’attività lavorativa nei mesi precedenti e immediatamente successivi al parto, senza che l’INPS riconosca alcuna prestazione di sostegno del reddito.
Per porre rimedio a questa mancanza, è possibile ottenere dall’Istituto l’erogazione di altre prestazioni di maternità, sempre che sussistano le diverse condizioni previste dalla legge: si tratta dell’assegno di maternità per lavori atipici e discontinui a carico dello Stato e, in alternativa, dell’assegno di maternità di base a carico dei Comuni.
Le lavoratrici che hanno diritto al trattamento di maternità, ma in misura minore rispetto all’assegno dello Stato o dei Comuni,possono avanzare richiesta di queste prestazioni per la concessione della quota differenziale.
Patronato ACLI
Fonte: https://www.patronato.acli.it/