Entro il 17 dicembre (visto che il 16, termine ordinario, cade di domenica) i possessori di immobili (non abitazioni principali) saranno chiamati a chiudere i conti con l’Imu e la Tasi del 2018. Il versamento è quello relativo al saldo, ovvero l’altra metà dell’imposta dopo la rata di acconto già pagata a giugno. Le regole sono ormai quelle note, entrate in pista dal gennaio 2016, che hanno cancellato in primis l’obbligo di versamento per le abitazioni principali non di lusso, affrancando di conseguenza dalla famosa “quota occupante” anche gli inquilini che mantengono residenza e domicilio negli immobili di cui risultano affittuari.
Fatta quindi eccezione per le dimore accatastate in A1, A8 e A9, che continueranno a pagare entrambi i tributi (godendo comunque della detrazione fissa pari a 200 euro), questo “nuovo” assetto comporta automaticamente una cosa: niente più rompicapi né dubbi sulle detrazioni, com’era invece accaduto quando le abitazioni principali erano soggette alla Tasi, e i Comuni non avevano l’obbligo di concedere sconti, se non quando fossero ricorsi al balzello dello 0,8 per mille in più, col risultato, per il contribuente, di dover capire con esattezza se e come fossero stati deliberati gli sgravi.
D’altro canto Imu e Tasi restano sempre vive e vegete per tutti gli altri immobili, locati o meno, anche se con delle “variazioni” su tema. Occorrerà infatti per il saldo di fine anno sincerarsi dell’eventuale cambio d’aliquota rispetto a giugno, visto appunto che i Comuni potrebbero aver modificato le aliquote dei tributi dovuti per l’anno in corso; questo significa che le aliquote su cui è stato calcolato l’acconto potrebbero non essere più valide (CAF ACLI offre consulenza tramite le sue sedi o direttamente via web col nuovo portale online)
In tal caso bisognerà ricalcolare, con la nuova aliquota, il tributo complessivo per tutto il periodo di possesso protrattosi nell’arco dell’anno, e successivamente sottrarre la rata di acconto. Resta comunque il fatto che secondo le disposizioni della precedente manovra finanziaria, è stato espressamente vietato ai Comuni, nell’ottica di un complessivo contenimento della pressione tributaria, di deliberare nuove maggiorazioni Imu/Tasi salvo mantenere quelle già valide per gli anni precedenti.
Una delle novità più recenti è stata l’agevolazione sugli immobili concessi in comodato a parenti in linea retta entro il primo grado, che si traduce in pratica in uno sconto al 50% sulla base imponibile soggetta a imposta (sia ai fini Imu che ai fini Tasi). È necessario però che comodante e comodatario abbiano la residenza nello stesso Comune e che il comodante non possegga altri immobili a parte quello concesso in comodato e l’eventuale sua abitazione principale.
C’è poi lo sconto del 25% – questa volta applicato direttamente sulle imposte – riservato agli immobili affittati a canone concordato. Torniamo invece sulle case occupate da inquilini o comodatari. Assodato che la quota occupante della Tasi (dal 10 al 30 per cento) non è dovuta se l’occupante stesso utilizza l’immobile come propria abitazione principale, ciò non andrà a discapito del possessore, nel senso che in presenza di un detentore (inquilino o comodatario, non importa se dimorante o meno) il possessore verserà comunque una Tasi compresa tra il 70 e il 90 per cento del tributo complessivo. Se poi l’occupante non avrà stabilito lì la propria residenza-dimora, il versamento del tributo si completerà con la sua quota, altrimenti resterà solo la quota maggioritaria a carico del titolare.
Luca Napolitano
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Fonte: http://www.caf.acli.it/