CAF ACLI. Bonus casa: premiata la convivenza al momento dei lavori

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Il familiare convivente che paga la ristrutturazione eseguita su un immobile di proprietà di un congiunto può sì applicare la detrazione del 50% (valida salvo proroghe per le spese sostenute sino al 31-12-2017), a condizione però che l’immobile sia l’abitazione ove il familiare convive con il congiunto o comunque un altro immobile a disposizione, cioè vuoto. Oltretutto, per far sì che la detrazione resti valida nell’arco di tutto il decennio successivo, attraverso il consueto piano rateale di dieci quote di pari importo, non è necessario che la situazione di convivenza permanga nei 10 anni, ma che sia riscontrabile relativamente al solo periodo dei lavori fino al pagamento degli stessi.
La risposta che l’Agenzia delle Entrate ha fornito tempo fa su un interpello presentato in materia, potrebbe lasciar intendere un’interpretazione più restrittiva che inclusiva. Com’è noto, fra i beneficiari delle detrazioni al 50-65% sui lavori edili o finalizzati al risparmio energetico, rientrano anche i cosiddetti “familiari conviventi”, cioè coloro che convivono col possessore/detentore dell’immobile, e che, se sostengono le spese d’intervento, possono “subentrare” nel diritto di godimento del beneficio stesso. La regola dei familiari conviventi (intesi come il coniuge e i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado) suscita spesso delle incomprensioni. Vi è ad esempio la percezione comune che la parola “convivente” limiti l’applicazione del beneficio alle sole spese relative all’immobile dove in effetti la convivenza sussiste in senso fisico. In realtà non è così, ed è appunto su quest’aspetto che l’impostazione del bonus è più permissiva di quanto sembri.
I requisiti documentali affinché il familiare convivente applichi la detrazione sono esattamente gli stessi che verrebbero esaminati se fosse il possessore o detentore a richiederla, e cioè le fatture intestate della ditta e i bonifici di versamento correttamente compilati. Qualora poi fossero stati richiesti dei permessi speciali in Comune e tali permessi fossero intestati al possessore/detentore, ciò non ostacolerebbe la successiva applicazione del beneficio a favore del familiare convivente. Ad ogni modo dovrebbe comunque risultare la convivenza col possessore tramite il certificato di residenza.
Detto ciò, la ragione per cui l’impostazione di fondo del beneficio può dirsi permissiva, sta nel fatto che, come riporta la Risoluzione n. 184/E del 12 giugno 2002, “non è necessario che l’abitazione nella quale convivono familiare ed intestatario dell’immobile costituisca per entrambi l’abitazione principale, mentre è necessario che i lavori stessi siano effettuati su una delle abitazioni nelle quali si esplica il rapporto di convivenza”. La chiave è proprio questa. Le parole su cui bisogna concentrarsi, sono quelle che indicano la necessità che i lavori “siano effettuati su una delle abitazioni nelle quali si esplica il rapporto di convivenza”.
Questo significa appunto che l’immobile oggetto degli interventi non dev’essere necessariamente l’abitazione ove di fatto convivono il possessore e il familiare beneficiario del bonus, ma qualunque altro immobile ove la convivenza potrebbe idealmente sussistere. Volendo fare un esempio banale: se fosse il marito ad accollarsi le spese per la ristrutturazione della casa al mare posseduta al 100% dalla moglie, la detrazione gli sarebbe comunque riconosciuta, essendo appunto la casa al mare un immobile dove il rapporto di convivenza potrebbe eventualmente esplicarsi, a prescindere dal fatto che venga utilizzata soltanto per pochi mesi all’anno (e comunque la sostanza non cambierebbe anche se la casa non fosse mai utilizzata).
Dov’è, invece, che l’impostazione delle Entrate diventa restrittiva? Ripartiamo da un altro esempio: ipotizziamo una situazione quasi analoga alla precedente, cioè il marito che paga la ristrutturazione eseguita su un immobile posseduto dalla moglie, dove però abita il suocero, padre della moglie. In tal caso la detrazione non potrà essergli accordata dal momento che “l’immobile oggetto dei lavori è abitato da un familiare diverso da quello con cui sussiste il rapporto di convivenza”. In pratica, il fatto che a occupare l’immobile sia un terzo familiare, cioè un soggetto diverso dal possessore e dal suo convivente, fa da impedimento al normale applicarsi della detrazione. L’impostazione restrittiva si evince dunque dal presupposto secondo cui l’utilizzo da parte di terzi dell’immobile ristrutturato renda impossibile la convivenza – nello stesso immobile – tra il familiare e il possessore.

Fonte: CAF ACLI